Madonna di Picciano, Matera.
Devozione alla Madonna di Picciano
Una delle più antiche descrizioni delle manifestazioni devozionali alla Madonna sul colle di Picciano ci è fornita dal cronista materano Eustachio Verricelli.
Nella sua cronaca del 1595 scrive che “il di” della Nonciata a 25 di marzo se fa la festività con molto concurso dei forastieri per Ili grandissimi miracoli che fa …”.
La data della festività, il 25 marzo, il gran concorso di fedeli e i moltissimi miracoli continui e noti trovano conferma nel Cabreo del 1596.
Più tardi, il Cabreo del 1674 registra l’aumentata devozione e quantifica a dodicimila anime il numero dei pellegrini che salgono al santuario il giorno della festa. E specificato che i fedeli non sono solo materani, ma provengono da tutte le provincie circonvicine.
In modo particolare grande è la devozione che spinge molti abruzzesi a recarsi al santuario per la festività dell’Annunziata continuando una plurisecolare tradizione, sedimentata nel tempo da generazioni di pastori in transumanza sul territorio materano.
Furono proprio costoro i più fervidi promotori della devozione e gli organizzatori dei festeggiamenti. A loro risale, tra il sec. XVII e il XVIII, la storia popolare, fissatasi nella cantilena, che narra del vaccaro abruzzese il quale, alla ricerca dei buoi smarriti, riceve l’apparizione della Vergine che gli confida di voler un tempio in suo onore sul colle.
Impegnatosi alla ricerca di fondi e non riuscendo a concretizzare nulla presso i materani, a causa di una cattiva annata, il buon uomo si recò a questuare nelle contrade abruzzesi ove racimolò il necessario per la costruzione del santuario che sorse, come d’incanto, nel 1722.
Tralasciando quanto è frutto della fantasia popolare, alcuni elementi di questa canzoncina popolare meritano di essere presi in considerazione come l’accenno al solenne pellegrinaggio di popolo e di clero guidato dal vescovo di Matera per la consacrazione ufficiale del luogo di culto.
L’evento sancisce il passaggio da ciò che è semplicemente devozione popolare a culto ufficiale della chiesa locale. Il Cabreo del 1699 ci informa che in occasione della festività i fedeli sono assistiti da dieci sacerdoti confessori e da altrettanti preti che cantano le litanie.
25 Marzo
Sempre il giorno della festività del 25 marzo, nel cortile di Picciano, esenti da tasse governative, mercanti ed altre persone vendono roba e danno luogo ad una piccola fiera.
Il tutto avviene sotto la giurisdizione del commendatore che riceve l’affitto dei luoghi utilizzati e controlla pesi e misure; in più, per comodità della gente che concorre alla festa, si fa preparare un’osteria nella quale si vende pane, vino ed altre robe commestibili.
Nella sua cronaca del 1751, il Nelli ci informa di “un’infinità di popolo, non solo materano, ma forestieri anche da paesi lontani”.
Il loro numero raggiunge le quindicimila e più persone. Succede allora che “le gentaglie stanno dentro il bosco che vi è all’intorno di detto monte, ed altri che non possino avere stanze vanno ad alloggiare in qualche masseria ivi vicina”.
L’afflusso dei pellegrini, oltre che per la solennità del 25 marzo, continua anche per tutto il mese di maggio e in altre feste mariane dell’anno.
I fedeli che salgono al santuario lasciano offerte votive, donativi vari e denaro per messe e litanie, nonché per l’acquisto di cera, olio, vasi sacri etc…
La devozione alla Madonna di Picciano non è viva solo nel cuore delle classi popolari, ma è sentita anche dai ceti più elevati, che concorrono con munifici donativi e opere varie. Si è già accennato alla devozione del commendatore Gian Girolamo Carafa che nel 1601 fece fare una riproduzione della sacra effigie a grandezza naturale e la tenne sempre con sé. Nel 1609 Angelo Peres, “seu Donato de’ Peres”, lasciò per legato testamentario alla cappella della Bruna duecento ducati per la realizzazione di una piastra d’argento con l’immagine della Madonna di Picciano.
Di probabile origine ecclesiastica è la committenza dell’affresco che riproduce, in un periodo di tempo piuttosto tardivo, la Madonna di Picciano sulla parete sinistra della chiesa rupestre materana di S.Maria de Idris al Sasso Barisano.
Sapore più popolare ha l’affresco che si ritrova nel Convicinio di S. Antonio Abate, al Sasso Caveoso, e che s’ispira alla tarda tradizione dell’apparizione della Madonna al vaccaro abruzzese.
La Statua della Madonna di Picciano
Come già accennato in precedenza, ad un periodo piuttosto tardivo, forse inizio del sec.XVIII, si deve la costruzione e l’uso della statua processionale della Madonna. Di essa non si ha menzione alcuna nelle fonti antiche ed è presumibile che sia stata introdotta da pastori abruzzesi, divenuti gestori ufficiali della festa, almeno fino alla fine del ‘700.
II Copeti, cronista materano, ci dà notizia di un dispaccio del 1785 che interdice agli abruzzesi la colletta per l’organizzazione della festa; l’incarico allora passò ai materani, anch’essi, per lo più gualani e pastori.
A questa notizia si può collegare l’episodio che si racconta a Castel del Monte (prov. dell’Aquila, allorché, in conseguenza di un presunto torto subito, un signorotto del luogo indusse i pastori a prendersi la statua lignea della Madonna di Picciano, fatta costruire a loro spese, e a trasportarla a tappe nel loro paese, ove fu riposta nella chiesa di S. Caterina.
La grande devozione della gente del luogo portò anche alla costituzione, nel 1791, della Congregazione della SS. Annunziata detta di Picciano, con sede nella chiesa di S. Caterina di Castel del Monte. Un’altra Confraternita di S. Maria dell’Annunziata di Picciano si formò, ai primi dell’800, anche a Matera. Essa era costituita dai devoti dei paesi del circondario, in modo particolare Grassano e Montescaglioso.
La Confraternita fu approvata con regio decreto il 3 maggio 1835 e, il 13 settembre 1836, ebbe l’autorizzazione del Balì fra Giuseppe Caracciolo di officiare nella Chiesa materana Mater Domini appartenente ancora alla medesima Commenda.
Dello svolgimento della festa e delle manifestazioni devozionali di questo periodo il conte Giuseppe Gattini ci offre una vivace descrizione. I pellegrini affluivano in gran numero il giorno della vigilia e accendevano falò attorno ai quali stazionavano con canti e gozzoviglie tutta la notte.
“Ciò non impediva come tuttavia si facessero l’indomani le funzioni in chiesa ed una processione all’aperto con una lunga ed ordinata fila di uomini, donne e bambini. Talora per penitenza scalzi, con grossi ceri incartocciati in cima onde riparare la fiamma e serbarne gli sgoccioli, alternando il rosario e cantando le litanie, o più spesso una sconclusionata canzoncina mezza italiana e mezza vernacola e senza metro per sì accennare, tra l’altro, alla leggenda dei ritrovamento dell’antica immagine”.
...